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La scorsa settimana spiegavo quanto sia difficile sedersi in meditazione e spegnere la furia impazzita dei pensieri nella nostra mente.
Per ovviare a questo problema, Osho, un grande mistico scomparso negli anni ’90, ha ideato la cosiddetta meditazione dinamica. Egli sostiene che al giorno d'oggi siamo sufficientemente incasinati da non essere in grado di metterci a meditare come fanno i buddhisti. Osho suggerisce quindi di sfogare la propria pazzia: muoversi, agitarsi, strillare seguendo l’istinto, per poi ritrovarsi stremati e generalmente grondanti di sudore. A quel punto bisogna fermarsi e restare semplicemente nel momento presente, in piena consapevolezza. Dopo lo sfogo, infatti, è più facile assaporare il vuoto mentale. Perché secondo Osho il presente è senza pensieri, giacché questi portano inevitabilmente al passato o al futuro. Ogniqualvolta si pensa, ci si sposta nel tempo e si manca la realtà.
Ma è davvero utile sfogarsi? Secondo la psicologia occidentale, lo sfogo non porta che un beneficio temporaneo. Di fatto, se ad esempio si esterna la rabbia, si allena il muscolo della rabbia. In altre parole, anziché indebolire la cattiva abitudine, la rinnoviamo. Questo orientamento rispecchia in pieno la visione buddhista. Il Dalai Lama, infatti, consiglia di essere consapevoli, osservare lo stato d’animo negativo e ragionare attentamente per una corretta visione delle cose, che di certo non è quella suggerita dalla rabbia. Una via di mezzo, insomma, tra reprimere ed esaltare, coltivando un atteggiamento contemplativo di pazienza e tolleranza affinché queste qualità possano sostituire a poco a poco quelle distruttive come la collera. [In quest’ultimo passaggio mi riferisco al libro L’arte della felicità, Dalai Lama con Howard C. Cutler (un noto psichiatra americano), che mette in luce come la saggezza buddhista sia concorde con numerose teorie psicologiche occidentali, offrendo un metodo efficace per combattere la nostra nevrosi.]
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Paolo Ceccarini