La mamma di Boccadoro era una vacca. Rilettura semicomica di Narciso e Boccadoro

Durante l'estate del 2014, in una fase piuttosto tormentata, mi ritrovai a leggere, manco a dirlo, un romanzo sul tormento esistenziale: Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse.

Mi viene in mente un mio "guitar hero", Graham Coxon, che parlava del fascino di questo romanzo in un'intervista.
Mi procuro il libro e comincio.
E mi viene un'ansia della madonna, veramente.
Questo libro mi distrugge, finché non si perde un po' nella parte finale. E l'autodistruzione si arresta. Anche perché mi sono stufato della mia condizione di disagio pessimistico, quindi l'abbandono sbattendo la porta.

Mezza trama di Narciso e Boccadoro. Il prete gay e l'erotomane
Narciso è un ragazzo gay erudito, avviato alla carriera ecclesiastica. Una mente logica, razionale; un filosofetto tutto d'un pezzo che si guadagna anzitempo un ruolo da insegnante nel monastero di Mariabronn. Boccadoro è più giovane di lui, e viene trascinato nel convento da un padre distratto e amareggiato per esser stato con una vaccona. E con chi te la vuoi prendere? Con il figlio!
Il povero Boccadoro diventa un talentuoso studente, dominato però da un estro visionario e pieno di vita.
In qualche tempo emerge il dissidio del biondo Boccadoro grazie alla relazione di amore platonico con il saggio Narciso (che se lo limonerebbe con foga). Boccadoro capisce che nelle sue vene scorre un'attitudine diversa: la vita ecclesiastica non fa per lui, quel che più gli si addice è là fuori, col vento
Selfie scattato da Boccadoro - Wikipedia
tra i capelli (del pube). Il bel giovanotto, difatti, a seguito dell'analisi psicoterapeutica di Narciso, comincia ad avere visioni della madre che non ha mai conosciuto. Ebbene sì, la mamma di Boccadoro era una mignottona, girovaga, sozza, maledetta e a momenti, si suppone, illuminata.
Dopo una scopata mal fatta su un prato, la frittata è servita. Boccadoro scopre di non essere come Narciso, ma di amare la patata in maniera smisurata. Scusate la rima. E così parte in un vagabondaggio infinito durante il quale vive di stenti, sesso occasionale e poco altro. Perché Boccadoro si nutre di vita vera, quella fatta di carne, di sangue, di terra. Un personaggio romantico all'inverosimile che arriva persino a macchiarsi di omicidio.
La storia racconta la vita errabonda di Boccadoro, in una spirale di alti e bassi lacerante.
La fine andatevela a leggere, no?

Considerazioni disordinate su Narciso e Boccadoro, ovvero l'anima frammentata di zio Hermann
I protagonisti del romanzo sono le due facce di una stessa medaglia. Narciso è un filosofo-asceta rinchiuso nell'erudizione, mentre Boccadoro è un creativo con il desiderio di mangiare la vita al punto di ingozzarsi, vomitare e ricominciare di nuovo. I due personaggi esprimono una frattura evidente: il povero Hermann se la passava proprio di cacca all'epoca.
Narciso è un modello irraggiungibile per Hesse, palesemente artefatto e forzato. Perché Hesse non è un saggio né un santo, e il suo Narciso è un personaggio simbolico che sembra stilizzato, lontano da lui: è solo l'idea di come potrebbe essere una persona illuminata. Il bulimico Boccadoro è carico ed esagerato, ma zio Hermann si rivede bene entro le sue gesta per niente eroiche. È lui il personaggio più riuscito, se non fosse per la sacralità che Hesse intende attribuirgli in modo a tratti poco credibile.
Dov'è il punto d'incontro tra i due amici? Narciso comprende la caducità dell'esistenza con il suo gigantesco logos e i libri, trovando la risposta nell'amore per Dio, un Dio-Tutto nella miglior versione da mistico cristiano, con il classico sentore orientale di Hesse. Boccadoro, invece, vive la medesima caducità in prima persona, con l'esperienza diretta: gli amori fuggiaschi, le sbronze, il freddo, la fame e chi più ne ha più ne metta. Si ubriaca di tutto saltando senza sosta da uno scenario all'altro, da un'amante all'altra, restando un solitario, ma non riuscendo a sfuggire alle catene del desiderio che lo portano a sentire, il più delle volte, un vuoto profondo. Quella di Boccadoro è un'eterna corsa senza amore, con il sapore amaro dalla meschinità umana e un'infinità di piattole.
In questi tipi ideali pesa il tormento di Hesse, che ama e odia entrambi; per questo i disegni che tratteggia si deformano in modo isterico e improvviso. La profonda crisi di Hesse alla ricerca di una via per sedare la noia si avverte in ogni pagina, rappresentata dalla gioia e la bellezza della vita che esplode, macchiata dall'inevitabile ciclicità di ogni fenomeno (nascita-sviluppo-fine). Se il piacere non corrisponde alla felicità e il suo eccesso somiglia all'inferno, la sua soddisfazione appare irrinunciabile. L'autore si strugge in questo percorso che taglia in due la sua anima, nella quale siedono da una parte Narciso e dall'altra Boccadoro.

Paolo Ceccarini