Rilettura patetica del pluripremiato film di Sautet "Un cuore in inverno".

Oggi vi parlo di un film toccante, "Un cuore inverno" di Claude Sautet, in modo parzialmente imbecille. Sarà che sono uno scrittore, sebbene non famoso, e quando leggo un romanzo o guardo un film tendo ad analizzarne la struttura narrativa, cercando di capire come l'autore voglia esprimere i propri contenuti. Il risultato, nella mia testa, è uno smembramento spietato che mette in luce il paradosso tra un'interpretazione simbolica del narrato, indispensabile alla sua comprensione, e una lettura fredda, che trapianta la storia nella realtà, spogliandola della veridicità, mostrandone il lato assurdo.

La trama di Un Cuore in inverno.
Stéphane (Daniel Auteuil, che in questa pellicola mi ricorda l'allenatore Roberto Mancini) e Maxime
foto da Cineformica.org
(André Dussolier) sono due liutai agli antipodi: il primo parla solamente se interpellato; il secondo è sorridente come un anchorman americano, tanto che gli vorresti spaccare la faccia alla terza scena.

Nella loro vita piena di soddisfazioni lavorative, anche se Maxime è il PR della situazione mentre l'altro si fa il mazzo, irrompe la splendida violinista Camille (Emmanuelle Béart, ora tragicamente rifatta). Maxime si separa dalla moglie per prendersi la signorina bisex Camille, che a sua volta molla l'odiosa compagna e manager. Il fastidioso liutaio, inebetito dall'avvenenza della violinista, decide che andrà a vivere con lei.

Camille, però, irrazionale fino al midollo, si lascia attrarre dal liutaio vero, Stéphane. Il motivo è del tutto incomprensibile. Lui non parla, sta sulle palle a un mucchio di gente, e potrebbe essere vergine a giudicare da come si comporta.
L'attrazione di Camille diventa presto incontenibile. La donna si propone a Stéphane, visto che lui non lo farebbe mai. In pochi incontri rubati e privi di qualsiasi contatto, la violinista perde la testa per Stéphane. Il reticente liutaio, pur rispondendo a monosillabi, dimostra una sensibilità unica, soffocata dal suo cuore gelato.

In un film "ordinario" Stéphane, che ricambia il sentimento di Camille, cederebbe alla passione. Ma questo, per fortuna, è un film stra-ordinario, e Sautet chiede qualcosa di più ai suoi spettatori. Stéphane rinuncia alla giovane e topissima Camille e si tiene la sua verginità.
Stéphane non vive e non si esprime perché non coglie - a ragione - alcuna verità. Il liutaio sceglie di restare nel ghiaccio. Non scendere sul pianeta terra fa sì che niente si rompa e si deteriori. Anche se può provocare un eccesso di autoerotismo, che si suppone comunque mortificato dalla malinconia.

Vi racconterei altro, ma a me pare già troppo, e questo film merita di essere visto.


Lasciate spazio alla fantasia.
Un cuore in inverno ha degli sviluppi che sembrano poco credibili nella realtà concreta.
Se io scrivessi un libro con questa trama, l'agente letterario di turno mi direbbe: "l'idea è buona, ma i personaggi devono maturare. Camille salta di qua e di là senza soluzione di continuità; Stéphane deve reagire perché il romanzo cresca".
Beato Sautet che può far trionfare per sempre l'inverno sulla primavera. L'evoluzione di Stéphane ucciderebbe il film.


Stéphane, l'uomo che parlava (solo) ai violini.
Stéphane ricorda un personaggio del vecchio esistenzialismo. Osserva senza partecipare, vive perché non ha altra scelta, si anestetizza perché la sua mente disgrega ogni cosa e l'esperienza perde significato. Gli sguardi sfuggevoli e le poche parole del liutaio tratteggiano perfettamente la sua personalità.
Nonostante il gelo di Stéphane, è ben chiaro il suo amore per Camille, che lo porta a tormentarsi, come si evince da alcune scene, ma alla fine egli rinuncia. Forse in questo "no" assoluto c'è il desiderio di rendere eterno l'amore; forse Stéphane preferisce il cielo alla terra, la finzione alla realtà, la simulazione all'azione. Un personaggio dai caratteri disarmanti, quasi divino per la sua distanza dalle cose umane, quasi diabolico per il totale rifiuto del sentimento.

Ciò che trasmette Stéphane mi coinvolge e mi nausea. Lo sento vicino, compagno sconosciuto di una sacra inettitudine.

Paolo Ceccarini