Lettera al padre di Kafka: come un genitore può distruggerti la vita

La Lettera al padre di Franz Kafka non è una missiva che un figlio qualunque potrebbe inviare a un papà qualunque. La Lettera al padre è un'ennesima grande prova del genio narrativo di Kafka.

Per gli amanti di Kafka, sarà emozionante ritrovare in queste pagine alcuni riferimenti alle opere fondamentali dello scrittore. Tra i processi domestici – di cui il padre è protagonista indiscusso – ci sono un cameo dello scarafaggio e una prigione che può diventare castello.

Una lettera conclusa... a metà.
La maggior parte di voi saprà che Franz Kafka non completò i suoi romanzi – né America, né Il Processo, né Il Castello. La lettera è firmata in calce all'ultima pagina, quindi si suppone che sia conclusa. In compenso, Franz non la inviò al padre – il quale, probabilmente, l'avrebbe strappata dandogli del coglioncello buono a nulla.

Per onorare la tradizione kafkiana, ho deciso che anche questo articolo sarà incompiuto. Casserò un paragrafo e la conclusione.
L'incipit della lettera. Foto da Wikipedia.org

La lettera al padre
Nella struggente epistola, Franz – allora trentaseienne – racconta il tormentato rapporto con Hermann Kafka.

Hermann era un abile commerciante, attento al lato materiale della vita.
Il nucleo del suo carattere era la sicumera.
Il suo fisico era imponente come quello di un lottatore.
Non si pensi, adesso, che Hermann fosse uno di quei genitori perennemente assenti, anzi, egli era persino ingombrante. La sua presenza si registrava in due modi. Il primo era il mantenimento economico dei suoi cari; il secondo era una cattiveria mefistofelica.
Hermann esprimeva il suo disprezzo assoluto – e, invero, la propria insicurezza – verso tutto ciò che era altro da lui. Insomma: Hermann era uno stronzo col pedigree. E metteva paura.

Franz era, al contrario del padre, emaciato, cacasotto e cacadubbi. Tutta la lettera è impregnata dall'angosciosa consapevolezza della sua fragilità emotiva e, nondimeno, fisica. Franz, infatti, era tubercoloso - la stessa malattia lo stroncherà a soli quarantun anni.
Nello spicinio psicofisico del povero Franz, imperversava la prepotenza paterna, causando danni irreparabili. Franz Kafka era convinto che la pavidità e la debolezza che lo contraddistinguevano fossero un'evoluzione logica per un ragazzo, alla natura già trepido, costretto ad affrontare una situazione familiare tanto drammatica.

Un altro fardello ineludibile per Franz era il senso di colpa. Oltre a non sentirsi mai apprezzato, Franz riconosceva che gli mancavano alcune delle caratteristiche del padre per riuscire a superare talune sfide della vita. E così, Franz si condannava a lavorare come impiegato, deprecando le proprie opere – non si dimentichi che egli voleva che venissero bruciate alla sua morte dall'amico Max Brod, il quale, fortunatamente, disobbedì.

Per completare il quadro psicologico di Kafka, occorre esaminare la figura della madre, Julie Löwy. Difficile tratteggiarne un profilo esaustivo, ma, dalle poche righe che Franz le dedica, si intuisce che Julie, pur proteggendo i figli* dal temperamento persecutorio di Hermann, fosse essenzialmente d'accordo con il grossolano sistema educativo del marito.

La lettera al padre offre una prospettiva imprevedibile su Franz Kafka. Egli si racconta come un uomo abulico, disattento nei confronti dello studio, sempre preso a rimuginare e rimuginare.

I fallimenti relazionali di Kafka costituiscono uno dei momenti più interessanti della missiva. Franz ammette che voleva sposarsi con l'ultima fidanzata, ma, all'idea del matrimonio e di costruire una famiglia, provava un malessere febbrile nel quale scorgeva, inevitabilmente, l'ombra del conflitto col padre.
Lettera al padre, Kafka, ed. Feltrinelli


*Julie ed Hermann ebbero sei figli. Kafka era il maggiore.

Paolo Ceccarini