Sei romanzi che ho letto durante l'estate e un rapido commento (prima parte)

Propongo un rapido commento su alcuni dei romanzi letti la scorsa estate. In questo post parlerò di Un amore di Swann (Marcel Proust), Il soccombente (Thomas Bernhard) e Il Gattopardo (Giuseppe Tomasi di Lampedusa); nella seconda puntata troverai Le braci (Sándor Márai), Il grande animale (Di Fronzo) e Diario d'inverno (Paul Auster).
  1. Marcel Proust, Un amore di Swann, 1913
    Si tratta della parte centrale del primo volume di Alla ricerca del tempo perduto. Nonostante la prosa ipotattica, sofisticata - Proust è sempre a caccia della sfumatura - e anche un po' retorica, si legge con relativa facilità: narra, d'altronde, un innamoramento non corrisposto. Spicca il tema della gelosia, particolarmente caro a Proust. L'arguta ricostruzione delle dinamiche sociali della borghesia francese ritrae diversi tratti fondamentali della natura umana. Davvero bello.

  2. Thomas Bernhard, Il soccombente, 1983
    Racconta la storia di due pianisti che, ritrovandosi Glenn Gould nel corso di musica all'accademia Mozarteum di Salisburgo, vanno incontro all'inevitabile fallimento. Fallire, fallire, fallire: questo è Thomas Bernhard, uno dei maestri dello sconforto. Un libro spietato e nichilista al punto di sfiorare l'assurdo e il comico, ma che lascia un retrogusto amarissimo. Io l'ho adorato.

  3. Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, 1958
    Data la natura del post, non mi dilungherò sulla particolarissima vicenda editoriale de Il Gattopardo, pubblicato postumo grazie a Giorgio Bassani e successivamente riproposto nella versione originale di Tomasi di Lampedusa - sì, proprio il manoscritto. Indimenticabile il personaggio del principe Fabrizio Salina, della Sicilia e... di Bendicò. Il principe, invecchiando, si interroga sulla propria vita, sentendo che la passione viene progressivamente a mancare. Si lascia soggiogare, sgomento e insieme distaccato, dall'ineluttabile percorso della storia che, attraverso la realizzazione dell'Unità d'Italia, affonda il prestigio della sua famiglia. Le migliori pagine raccontano la Sicilia dell'epoca, una terra di passaggio dalle mille sfumature, inerte di fronte al mutamento impetuoso della storia. E Bendicò? Bendicò è il cane dei Salina, personaggio secondario cui l'autore affida un compito importante.
    Il difetto del manoscritto, a mio avviso, si rinviene nella parte conclusiva, trascinata oltre la sorte, già scritta, dei Salina.



Paolo Ceccarini