Sei romanzi che ho letto durante l'estate e un rapido commento (seconda parte)

Continua la carrellata di commenti sui sei romanzi letti. In questo post dirò la mia su Le braci (Sándor Márai), Il grande animale (Di Fronzo) e Diario d'inverno (Paul Auster). Se hai perso la puntata precedente, clicca qui.

  1. Sándor Márai, Le Braci, 1942
    La fama di Márai è legata soprattutto a Le braci, romanzo che lo stesso autore rinnegò, definendolo troppo romantico. Sono d'accordo con Márai: è davvero troppo romantico. Ma è una storia appassionante, scritta in modo magistrale.
    Le braci parla di due amici d'infanzia, Henrik e Konrad, che si rivedono dopo tanti anni per chiarirsi. L'amicizia vissuta negli anni della giovinezza, infatti, si è interrotta bruscamente per la fuga di Konrad, causando numerosi dissapori. Nel romanzo, tematiche proprie della nostra quotidianità - come l'amicizia e l'amore - vengono descritte con grande intelligenza e profondità. Cose belle dei classici!

  2. Gabriele Di Fronzo, Il grande animale,  2016, ed. Nottetempo
    L'esordio gotico di Gabriele Di Fronzo racconta la storia di un imbalsamatore il quale, oltre a far sembrare vivi degli animali deceduti, deve badare al padre in pessime condizioni di salute. Morte, morte dappertutto: Gabriele si inerpica subito, coraggiosamente, sui pendii più scoscesi della letteratura.
    Di Fronzo scrive davvero bene: la sua voce è chiara e definita. A mio avviso, però, l'elaborazione eccessiva dello stile e il registro ricercato sviliscono un po' l'intensità di alcuni passaggi. Un altro aspetto fastidioso è la suddivisione del romanzo in paragrafi brevissimi: la lettura risulta troppo frammentata.
    L'esordio di Di Fronzo è comunque valido e coraggioso. Sentiremo di nuovo parlare di lui, ne sono convinto.

  3. Paul Auster, Diario d'inverno, 2012, ed. Einaudi
    Un'autobiografia romanzata poco interessante. L'esaltazione di numerose vicende personali che non hanno nulla di eccezionale rende il libro autocompiaciuto e inconsistente. Auster si esprime con formule stereotipiche e retoriche insopportabili. La cosa più deludente del libro è che il 64enne Auster, pur parlando della vita in tutti i suoi aspetti, riesce a risultare incredibilmente banale. 
Paolo Ceccarini