Cielomare (Algra Editore): l'ultimo romanzo di Maribella Piana (recensione)

Dicono che il tempo curi ogni ferita, con la gestualità curiosa e cauta di un alchimista spratico degli usi dei suoi stessi intrugli. Dinanzi ad esso, si procede quasi sempre per tentativi: le poche volte in cui si dispone di una certezza minima, sono frutto di esperienze raccolte in seguito a scelte e conseguenti ferite, spesso rimarginate solo in superficie. Ciò che sa farsi sollievo e tormento, a seconda dei momenti, è il ricordo: l’esperienza è una teoria fallibile, che serve solo a insegnare il peso o la riuscita di ogni direzione osata in precedenza, e ad imbastire nuove traiettorie. Molte di queste trovano riscontro nella fantasia, e si fanno piccola impresa trasposta sulla carta, in forma di libro: libro-unguento, spunto e riflessione; sensibilità da scegliere, che talvolta accomuna al punto di rendere facile l’immedesimazione. Ho letto di recente Cielomare di Maribella Piana (Algra Editore). L’ho trovato fresco, corposo, denso e descrittivo: carezza gentile che si posa sui luoghi e li percorre in punta di dita. E poi un mosaico di piccolissime e varie sensazioni, piovute a dar sollievo al dolore muto e ostile dell’indifferenza. Si tratta di un romanzo lento e accorato, che sparge sguardi allungati sulle cose e le classifica, le tocca e le respinge, poi torna a posarsi su di esse: la conoscenza è una misura affidabile, ma non definitiva. Muta col mutare del tempo e del sentire.
Occorre piegarsi, attendere e respirare piano, davanti a certe cose; farlo come per gratitudine e stupore verso tutto ciò che scuote il quieto vivere, nutre e placa gli ardori, cambia e ci cambia, nel tempo. La storia di Cielomare è semplice, e culla una forza antica, vorace, tra le sue pieghe: Luca è un ragazzo giovane e solo, di quelli che prima o poi si finisce per additare con un termine scomodo e morbido al contempo: Luca è diverso. Diverso e lontano da un’esuberanza che attrae e rassicura, dalla facilità che consente l’approccio e la comunione di piccole risorse e intenti avventurosi; è uno solitario, abbozzo di uomo con sensibilità di donna annessa, chiuso in un guscio che è teatro di una lotta silente e dura contro sé stesso; corpo che è vuoto ed eco insopportabile, preghiera senza credo per un affetto che non sa più chiedere. Le sue giornate sono un elenco stropicciato e incurante delle solite cose avvenute per caso e per inerzia. I banchi di scuola, gli incontri trascurabili, l’ammirazione segreta per un carisma che si scorge in altri e si ammira come fosse il segreto della riuscita in tutto, con tutti: arma che mai si imparerà ad agguantare e dosare, semplicemente perché si possiede per una sorta di fortuna sfacciata e ingiusta.
Luca impara coi cenni dell’insicurezza, che gli è amica e nemica da sempre, il verso di un’amicizia stretta per istinto e mantenuta a lungo, nonostante le distanze. In fondo sono proprio quelli i legami più saldi: quelli che stringono e non soffocano mai. Quelli che sanno che l’esperienza va condivisa, pur di non relegarla a una sola, inutile teoria.
Lo sfondo della vicenda narrata nel romanzo è quello di un’amata terra di Sicilia. Le parole sono una mappa ideale verso luoghi vissuti con minuzia e autentico trasporto, che mai si avrà modo di dimenticare. La terra è concretezza e spirito, il blu del mare è eterna infatuazione. Vi sono punti in cui fermarsi a riflettere su un ventaglio ampio e vario di sentimenti di cui riempirsi la bocca, e non soltanto per il rumore di un discorso da pronunciare, ma per l’audacia di baci da premere sulle labbra, e altre parole, poi, a dare compiutezza a una promessa di continuità appena intuita.
Cielomare, M. Piana, Algra Editore

Tra una pagina e l’altra, Luca si innamora di Camilla: ed è per una spinta indefinibile e per follia, nulla di meno. Le premesse sono agitate, contrastanti: lei ha i modi di un’insegnante e un’età giovane, per il ruolo che ricopre. Lui apprende grandi cose da quei modi, pure negli spazi che prevedono discorsi svagati, senza alcuna teoria da illustrare: del resto gli incastri della grammatica, come quelli della vita presa in senso generale, li apprenderà assecondando i ritmi del tempo che viene, non privo di stridii, sbuffi, ostacoli da scavalcare.
Intanto scivoleranno via i giorni, gli anni: Camilla diventerà, per Luca, il centro esatto di ogni taciuta speranza. Sarà il candore e il coraggio che viene da chi sa restare accanto, mostrando una fiducia che rimane in piedi pure senza articolare ogni sorta di domanda. Sarà spontanea e genuina, capace di sostenere il volo di quel ragazzo che cresce e che non sa far altro che amare, a dispetto di ogni cosa. E sarà un volo da spiegare anche su ali metalliche, ali d’aereo, così aggraziate. Luca diventerà un pilota, seguendo con costanza e felicità da non poter spiegare, le lezioni offerte da un uomo con la vocazione di padre, mai messa in pratica: nessun figlio, e la tenerezza di mille vite da abbracciare, sostenere e cullare, a suo modo. Mentre Camilla resta con il naso all’insù, e impara, intreccia e insegue la trama di un amore adulto, da adulta, lasciandosi spiazzare da un sentire che si impone, in lei, oltre ogni logica.
Tutto ciò che segue è sorpresa e disappunto; è dolore che fa a pezzi e mette insieme i cocci, in alternanza. È un fine lieto, se non altro per la capacità di dire con parole dolci e malcelato rimpianto, che spesso si muore un po’ e sempre si rinasce. Anche quando non si sa tenere a bada l’immaginazione, e con fare pigro e capriccioso al contempo, si giocano ruoli imprevisti e mosse astute, possibili solo in un mondo di pura fantasia. Il vero salto sta nel ridimensionarsi: il reale si snoda a un passo dall’inverosimile, ed è verità pura, bella da non poterci credere. E se fa male è vera ancora un po’: lo impareranno Luca e Camilla a caro prezzo; e ne avrà una conferma tenue e forte persino chi legge, come di riflesso.

Nicoletta Prestifilippo