Alessandro Della Casa ci presenta il suo Isaiah Berlin - La vita e il pensiero (Rubbettino editore) [intervista]

Ebbene sì: conosco Alessandro Della Casa perché frequentava la mia stessa scuola elementare. Da allora, Alessandro ha fatto un sacco di strada. Dopo la laurea in Lettere ha conseguito il dottorato di ricerca in Scienze Storiche ed è diventato un importante saggista. Oggi parlerò con lui di "Isaiah Berlin. La vita e il pensiero" (Rubbettino, 2018), libro che sta avendo successo in ambito accademico e non solo, già recensito su testate di primo livello quali Avvenire, La Repubblica e Il Giornale. [Clicca qui per la rassegna stampa.]

In una lettera a Stuart Hampshire del 1974, Isaiah Berlin scrisse: "Ricordo che nel 1936 sulla nave per l'Irlanda mi dicesti: «Pensavo di stare parlando a un socialista e un positivista: ma ho scoperto che sei un sionista e un fenomenologo». Lo ero e lo sono: ora e sempre." 
Alessandro Della Casa, chi è Isaiah Berlin?

Isaiah Berlin è il discendente di una famiglia di ebrei russi righesi (tra i suoi antenati c’erano importanti rabbini hassidici). Da bambino assiste allo scoppio della rivoluzione d’ottobre, prima di fuggire con i genitori in Inghilterra. Lì si laurea a Oxford, diventa professore di teoria politica e uno dei più influenti storici delle idee e intellettuali liberali del Novecento, ancora oggi molto citato e discusso.
Isaiah Berlin, Della Casa, Rubbettino

La tua opera ha il merito di integrare il pensiero e la vita di Isaiah Berlin. Qual è il beneficio di questo approccio? Cosa mancava alla letteratura su Berlin?


Nell’ambito accademico anglofono si tende ad analizzare il pensiero astraendolo dal contesto in cui si è prodotto. È un metodo che rischia di compromettere la comprensione del messaggio che un autore intendeva trasmettere, perché le idee non nascono nel vuoto, ma all’interno di un dibattito intellettuale e di specifiche circostanze storiche e personali. Fichte ha ragione quando scrive che la filosofia che si sceglie dipende dall’uomo che si è. Per cui ho applicato l’approccio critico "continentale", tipico della tradizione italiana. E la ricostruzione dell’esperienza di vita ha permesso sia di conoscere meglio molti aspetti della personalità di Berlin, sia di reinterpretare più fedelmente l’evoluzione del suo pensiero.

La storia di Berlin (1909-1997) percorre tutto il Novecento, "il secolo peggiore che l'umanità abbia avuto". Berlin vive in Russia, in Inghilterra, negli Stati Uniti; fugge dalla rivoluzione bolscevica, assiste alle guerre mondiali e alla Guerra Fredda; in più è un sionista, quindi si occupa delle vicende che coinvolgono la nascita e gli sviluppi storici dello Stato di Israele. Ti va di raccontarci alcune tappe fondamentali della vita di Berlin e le personalità che ha incontrato?

L’aver assistito a episodi di brutalità durante la rivoluzione russa è un passaggio rilevante nella biografia di Berlin, perché lo rese subito consapevole della capacità delle idee di spingere gli uomini ad atti di violenza e gli trasmise una duratura antipatia verso i sistemi marxisti. Le sue opinioni sul mondo russo contribuirono a influenzare il suo amico George Kennan, uno dei consiglieri di Roosevelt e di Truman oltre che l’artefice della dottrina del contenimento adottata dagli Stati Uniti nel confronto geopolitico con l’Unione Sovietica. Come tu ricordi, quella ebraica fu un’altra realtà che interessò Berlin: fu un attivo collaboratore di Weizmann, il primo presidente di Israele, e un interlocutore di altri leader israeliani, come Ben-Gurion e Golda Meir. Lo consultarono anche alcuni dei primi ministri britannici, come Churchill durante la guerra, Margaret Thatcher, che lo stimava molto (non del tutto ricambiata), e Tony Blair.

L'indagine di Berlin abbraccia il tema dell'appartenenza che, parafrasando l'introduzione del tuo saggio, è centrale per gli studiosi che si occupano di pluralismo, libertà e filosofia del linguaggio. Quanto contano le sue vicissitudini di ebreo russo per la definizione del discorso sull'appartenenza?

Ovviamente l’essere ebreo lo sensibilizzò alle differenze culturali e all’importanza del riconoscimento. Poi, diversamente da quanto accadeva in Europa occidentale, tra gli ebrei russi c’era la persuasione di formare una comunità nazionale prima ancora che religiosa. Berlin fu allevato in questa convinzione, che lo avvicinò al sionismo e più in generale all’idea che essere educato nella cultura di una nazione modella nel profondo la personalità dell’individuo, plasma il suo panorama morale.

Un sionista è necessariamente un nazionalista. Cos'ha di particolare il nazionalismo di Berlin? In che modo si può fondere col suo concetto di libertà?

Il suo nazionalismo si traduce principalmente nell’esigenza che a ogni nazione sia garantita l’indipendenza politica. Quindi Berlin divenne sempre più attento alla questione palestinese. Era invece contrario al nazionalismo aggressivo, cioè alla volontà di una nazione di sopraffare le altre. Questo si lega al suo concetto di libertà come assenza di interferenze nelle scelte: per Berlin gode di maggiore libertà chi può vivere, o decidere di vivere, in una comunità politica espressione della propria cultura.

Isaiah Berlin ha appreso dalla madre il gusto per la letteratura. Qual è il rapporto tra la sua filosofia e il mondo delle lettere?

C’è una relazione strettissima. Berlin in parte strutturò il proprio discorso filosofico proprio analizzando alcuni grandi della letteratura russa dell’Ottocento (basti pensare al saggio "Il riccio e la volpe" su Tostoj). E di fronte al ribellismo giovanile del ’68, da liberale moderato quale era, finì per identificarsi palesemente con la vicenda di Turgenev, un romanziere che era stato incapace di schierarsi con i rivoluzionari del proprio tempo o con l’establishment zarista. Inoltre bisogna tenere presente l’incontro con la poetessa Anna Achmatova e con Boris Pasternak, che con i loro racconti sulle purghe staliniane alimentarono il suo anticomunismo.

Per scrivere "Isaiah Berlin. La vita e il pensiero" hai studiato fonti di ogni genere (saggi - inevitabilmente -, dibattiti, interviste, lettere, prolusioni) per dieci anni. Come hai reperito tutto il materiale che hai utilizzato? Cosa succede tra lo studioso e il personaggio studiato in un periodo così lungo? E soprattutto: come hai intuito che c'era qualcosa di Berlin che non era già stato detto?

Si è trattato di consultare i cataloghi delle biblioteche e gli archivi delle riviste e di esplorare la sterminata documentazione inedita depositata a Oxford, con l’aiuto dei curatori del trust di Berlin, e fortunatamente in parte digitalizzata. Proprio il confronto tra le varie fonti mi ha dimostrato che alcune delle interpretazioni più consolidate sul suo conto erano da rivedere e che c’erano lacune da colmare. Lavorando tanto a lungo su un autore si potrebbe essere risucchiati nella sua prospettiva, perdendo il distacco indispensabile all’obiettività dell’analisi. L’unico modo per evitarlo è "frequentare" altri punti di vista.

Berlin è un gradualista, si schiera con la sinistra moderata e si definisce "di posizione intellettuale conservatrice". In un secolo di estremismi e violenze, il rivoluzionario può sembrare lui. Che ne pensi?

La sua attitudine conservatrice consiste in uno spiccato realismo politico, cioè la consapevolezza che le aspettative e le azioni vadano commisurate alle possibilità offerte dalle circostanze, senza imporre trasformazioni radicali che possono risolversi in fallimenti distruttivi per l’esistenza di molti innocenti. Ciò significa anche percorrere la via di mezzo tra gli estremi, rispettando la pluralità ed esaltando gli elementi migliori delle varie posizioni. Nel Novecento, il "secolo delle ideologie", un simile orientamento tollerante non è stato molto di moda. Mi pare che lo sia ancora di meno in questi primi venti anni di secolo post-ideologico. Ma una delle convinzioni di Berlin era che la storia non segua un piano prefissato, quindi c’è sempre motivo per essere ottimisti.
Della Casa (il quarto da sinistra) presso la Fondazione Einaudi (Roma) il 12 aprile 2018.
Si parlava proprio di Isaiah Berlin - La vita e il pensiero

Paolo Ceccarini