“Il migliore dei governi è quello che non governa affatto”. Thoreau e la disobbedienza civile

“Sotto un governo che imprigiona chiunque ingiustamente, il vero posto per un uomo giusto è la prigione”, affermava il filosofo Henry David Thoreau in Civil Disobedience nel 1849. Ed effettivamente aveva trascorso una notte in carcere (poi una zia aveva versato la cauzione) per aver rifiutato di pagare l’imposta di capitazione in protesta con la politica schiavista dello Stato del Massachusetts. Al centro di quel discorso, che avrebbe introdotto la stessa espressione “disobbedienza civile”, sta il complesso rapporto tra legge positiva e giustizia morale con cui ciascuno, spesso magari inconsapevolmente, si confronta quando le norme divergono diametralmente con le convinzioni più profonde su ciò che è “il bene”. Una questione che assume una sostanza etica molto densa nel momento in cui entrano in gioco la libertà o la vita altrui, e non è più riducibile a una scappatoia per il perseguimento illecito del proprio interesse personale.
Henry David Thoreau, immagine da Wikimedia Commons
D’altra parte, rifletteva Hannah Arendt trattando del criminale nazista Adolf Eichmann, il male può presentarsi anche sotto le sembianze di un modesto funzionario che con solerzia esegue gli ordini del governo, anche se questi implicano l’organizzazione sistematica dello sterminio di un intero popolo. Talvolta il buon cittadino e l’uomo virtuoso semplicemente, ma drammaticamente, non coincidono. Allora l’uomo virtuoso si sentirà chiamato a opporsi o a tenersi in disparte, rifiutando di essere uno strumento di piani governativi che confliggono con quanto gli detta la propria coscienza. “Il solo obbligo che ho il diritto di arrogarmi è quello di fare sempre e comunque ciò che ritengo giusto”, scriveva Thoreau. E proseguiva: “Se l’ingiustizia fa parte del necessario attrito della macchina del governo, lasciamo correre: forse esso si attenuerà – di sicuro la macchina si logorerà. Se l’ingiustizia ha una molla, una puleggia, una corda, o una manovella esclusivamente per sé, allora si può forse considerare se il rimedio non sia peggiore del male. Ma se è di natura tale da imporvi di essere agenti di ingiustizia nei confronti di un altro, allora, perbacco, si infranga la legge. Che la vostra vita faccia attrito per fermare la macchina”.

Lo schiavismo e la guerra contro il Messico erano i mali della “macchina” degli Stati Uniti che Thoreau voleva rimuovere, sottraendosi all’osservanza della legge e invitando i suoi concittadini a fare altrettanto, in nome del riconoscimento individuale della “Verità” morale, così come asserito dalla filosofia trascendentalista condivisa da Ralph Waldo Emerson e da Walt Whitman. Se tale “Verità” è di livello superiore, per affermarla non si deve attendere che raccolga attorno a sé il consenso di variabili e passeggere maggioranze, come invece accade per le molteplici “verità” (con l’iniziale minuscola). Anzi, “qualsiasi uomo più giusto dei propri vicini costituisce già una maggioranza di uno”.

Pervenuti alla Verità gli uomini saranno pronti ad avere “il migliore dei governi”, ossia “quello che non governa affatto”. Ma la visione di Thoreau non si inscrive in una prospettiva anarchica: il suo fine è piuttosto l’instaurazione di “uno Stato veramente libero e illuminato” che riconosca l’“individuo come una forza più alta e indipendente, dalla quale derivano tutto il suo potere e la sua autorità, e lo tratterà di conseguenza”.

Finché questa condizione non sarà raggiunta, il cittadino disobbediente dovrà accettare, alla maniera che sarebbe stata di Gandhi (che pure in carcere teneva con sé una copia di Civil Disobedience), la condanna che l’ingiusta legge gli comminerà. Thoreau, però, non escludeva l’eventualità di ricorrere alla violenza per ottenere il mutamento delle norme. Lo dimostra la sua apologia per John Brown, che assieme a un manipolo di uomini aveva compiuto azioni prototerroristiche in nome dell’abolizionismo, prima che le truppe del Generale Lee lo catturassero e un tribunale della Virginia lo indirizzasse alla forca nel 1859. “Sento che molti condannano questi uomini perché erano così pochi. Quando mai i buoni e i coraggiosi sono stati in maggioranza? Avreste voluto che Brown aspettasse fino a quel momento?”, avrebbe domandato Thoreau (In difesa del Capitano John Brown, 1859).

Negli anni ’70 del Novecento alla figura di Brown si sarebbe richiamato il gruppo sovversivo statunitense dei Weathermen (questa volta la guerra da osteggiare era quella in Vietnam); mentre Martin Luther King aveva già eletto Thoreau tra gli ispiratori del movimento nonviolento per i diritti civili degli afroamericani. Differenti traiettorie nella storia americana che in un modo o nell’altro avevano a che fare con la sfaccettata eredità intellettuale del filosofo di Concord.

Alessandro Della Casa