Fahrenheit 451 di Ray Bradbury: la profezia si è avverata?

Fahrenheit 451 di Ray Bradbury è un romanzo distopico del 1953, spesso schierato assieme ad altri due titoli che hanno lanciato il genere: Il mondo nuovo di Aldous Huxley (1932) e 1984 di George Orwell (1949). A questi bisognerebbe aggiungere Il tallone di ferro di Jack London, una distopia pura - e ingiustamente dimenticata - uscita nel remoto 1907.
Fahrenheit 451 resiste al tempo, inossidabile, e non potrebbe essere altrimenti: le profezie mortifere di Bradbury non sembrano così lontane dalla loro effettiva realizzazione.
La società di Fahrenheit 451: i roghi di libri e il consumismo
Il protagonista di Fahrenheit 451, Montag, è un vigile del fuoco molto particolare: nella distopia di Bradbury, infatti, i pompieri non domano gli incendi, bensì li appiccano per bruciare i libri e le case di coloro che li possiedono. Gli scopi di una simile barbarie sono evidenti: limitare le capacità critiche della popolazione, generare confusione e soffocare la memoria. In altre parole, dominare il pensiero per soggiogare il popolo.
Per Bradbury, il libro non è depositario della verità, ma fautore del dubbio; un dubbio salvifico perché, allignando dalla conoscenza che solo la cultura può dare, porta alla strutturazione di un punto di vista indipendente, l’unico strumento per opporsi realmente al potere.
Per tenere a bada i cittadini, il governo di Fahrenheit 451 adotta un sistema consumistico: un popolo di non pensanti che dispone di lussi, svaghi e ninnoli che ragione avrebbe di lagnarsi?
La nevrosi della società bradburiana viene descritta dal di dentro, attraverso la vicenda personale di Montag: i rapporti umani sono alienati (si pensi che Montag e la moglie sembrano conoscersi appena); la vita è una messinscena di automi che ignorano la propria sofferenza, proseliti di un pericoloso inconscio collettivo; nelle case sono installate mura bercianti, una sorta di maxischermi televisivi che "intrattengono" i cittadini con messaggi inutili e distraenti.

"Nessuno più ascolta. Io non posso parlare alle pareti, perché sono le pareti che urlano verso di me. Non posso parlare con mia moglie, perché sta sentendo quello che dicono le pareti."*

In Fahrenheit 451 la vita si svolge tutta all’interno delle città. Soffermarsi a guardare la natura è  severamente vietato. Così Montag, reprobo in fuga, si trasforma d’un tratto in una specie di Leopardi americano (consentitemi l’ironia) tramite la prosa possente e letteraria di Bradbury:

“Ora, l'odore secco del fieno, il moto delle acque, gli dettero l'idea di dormire nel fieno fresco in un fienile solitario, lontano dalle autostrade schiamazzanti, dietro una fattoria tranquilla, e sotto un antico mulino a vento che vibrasse, sopra, col suono degli anni che trascorrevano via. (…) Lui allora, ricoricandosi, avrebbe spinto lo sguardo fuor della finestrella del fienile, a notte fonda, e avrebbe visto le luci spegnersi nella stessa fattoria, poi una fanciulla molto bella si sarebbe seduta presso una finestra non illuminata, a intrecciarsi i capelli. Sarebbe stato difficile poterla vedere, ma il suo volto sarebbe stato quello della fanciulla che si perdeva ora in un passato molto lontano della sua vita, un passato estremamente remoto, la fanciulla che sapeva conoscere le stagioni e non si era mai lasciata bruciare dalle ali infocate delle lucciole, la fanciulla che sapeva che cosa volesse dire la radicchiella, a stropicciarsela contro il mento. Quindi, sarebbe svanita dalla tepida finestra, per ricomparir di sopra, nella sua stanza bianca di luna.”

La profezia si è avverata?
Nei primi anni ‘50 il consumismo spargeva i suoi semi negli Stati Uniti. Bradbury, testimone illuminato della nuova epoca, capì subito che una società orientata al consumo, stimolando una rincorsa al piacere piuttosto che alla felicità**, può annichilire la capacità critica e irretire le masse. Con questa consapevolezza, Bradbury immaginò un futuro tetro che ricorda disperatamente il nostro presente. Ma il governo, da noi, non brucia mica i libri, direte voi. Be’, non occorre: a cosa serve bruciare i libri se non li legge quasi nessuno? Le nostre conoscenze, difatti, sono piuttosto striminzite: le informazioni di cui disponiamo, similmente a quelle urlate dalle pareti-Tv delle case di Fahrenheit 451, sono approssimative e fuorvianti. Complice di questo svilimento dei significati e del pensiero è il linguaggio stilizzato dei social network, contenitori di messaggi brevi e semplificati o addirittura nulli (si pensi a Twitter, diventato arena della propaganda politica, e ad Instagram, dove comunichiamo goffamente a suon di immagini, senza verbalizzare). I social network sono uno dei simboli per antonomasia della società dei consumi: il loro utilizzo attiva la dopamina (l’ormone del piacere, v. nota **) proprio come la droga, ed è questa la ragione per cui continuiamo a scorrere compulsivamente i post, perpetrando un atteggiamento che spesso noi stessi riconosciamo come dannoso.

Tirando le somme: Fahrenheit 451 è un capolavoro assoluto? Tecnicamente direi di no. Ma Bradbury fu capace di intuire gli sviluppi del consumismo già dai suoi albori.
Questo libro va letto. Perché parla di noi.

Paolo Ceccarini

*La distopia di Bradbury è disseminata di immagini allucinate che la avvicinano al genere weird. Non a caso, diversi racconti dell'autore furono pubblicati sulla celebre rivista Weird Tales – la stessa, per intenderci, che ospitò molti scritti di Lovecraft.

**Che piacere e felicità vadano regolate adeguatamente per uno stato di benessere lo dicono la psicologia (consiglio in tal proposito Passione e saggezza di Edoardo Giusti) e la scienza (il piacere attiva la dopamina, la felicità la serotonina: due ormoni ben distinti, come ci spiega Robert Lustig in The hacking of the American mind).