Marek Hłasko, l’occhio vigile su una patria rinnegata

Nello scenario del “lettore umorale” alcuni libri si acquistano perché si deve e altri perché succede: nel primo caso agisce il raziocinio e nel secondo l’istinto. Ho pile di volumi comprati nel pieno possesso delle mie facoltà mentali: saggi di politica, romanzi illuminanti, grandi classici. Ma quando a colpire è la copertina, la collocazione all’interno della bancarella/dello scaffale, una quarta accattivante o qualcosa che fa pensare ecco, in questo periodo ho proprio bisogno di una raccolta di racconti di un autore polacco del quale non ho mai sentito parlare, non ci sono santi: questi ultimi avranno la precedenza, scalzando ogni ordine cronologico d’acquisto.
L’ottavo giorno della settimana di Marek Hłasko è una raccolta di racconti brevi e non, pubblicata per la prima volta in Italia da Einaudi nel 1959. Il titolo si riferisce alla prima opera celebre dell’autore. Tuttavia, il nome di Hłasko oggi sembra avvolto da un ingiustificabile oblio, e dire che si tratta di una figura interessante!
Immagine della prima edizione (da Ibs.it)

Sappiamo che, in quella Polonia orientata allo stalinismo, Marek Hłasko non se la passava troppo bene, tanto che decise di abbandonarla per girare l’Europa d’oltre-cortina. Si fece presto la fama di attaccabrighe, vandalo e anticonformista, ma le sue opere iniziarono a circolare e vennero apprezzate anche in Italia. Restio a imparare le lingue e malvisto dalle autorità polacche, per lungo tempo faticò a trovare un equilibrio; il tentativo di mettere la testa a posto con un matrimonio durò poco e, dopo un periodo trascorso nelle cliniche psichiatriche, decise di tentare la fortuna negli States con l’aiuto del regista Roman Polanski. Non riuscì a sfondare nel mondo del cinema, mandò accidentalmente al Creatore il musicista polacco Krzysztof Komeda durante un party e infine tornò a vivere in Europa, nella Germania occidentale, dove morì nel 1969 a causa di un mix letale di alcolici e farmaci.

Le opere de L’ottavo giorno della settimana presentano alcuni denominatori comuni, a partire da un’incrollabile s-fiducia nell’essere umano, mediante la quale riesce a descrivere le bassezze che caratterizzano l’animo degli uomini. Nelle storie narrate c’è il falso mito del progresso in tutta la sua crudezza, la descrizione accurata e nuda di una società che naufraga sotto il faro del lavoro e della fedeltà al sistema come massimo ideale. Un mondo del lavoro implacabile, svolto in strutture panottiche, dove la convivialità forzata viene resa accettabile dall’alcol.
I personaggi di Hłasko bevono forte, interi paragrafi sono dedicati agli effetti, fisici e psicologici, dell’abuso di vodka. Lampante è il racconto Nodo scorsoio, in cui il signor “Kuba” conta le ore che lo separano dall’inizio della terapia per smettere di bere. Tuttavia, nell’arco di tempo che intercorre tra la mattina e il tardo pomeriggio, l’uomo scopre che l’alcolismo è una conseguenza quasi inevitabile di tutto ciò che lo circonda. Identificato come l’ubriacone di turno, vive oramai costantemente a contatto con amici e conoscenti che gli impediscono di allontanarsi dall’etichetta di malato incurabile.
Non mancano forti critiche all’uomo nuovo del suo Paese, il cittadino intriso di ideologie ma anche piuttosto ipocrita. Memorabile L’evaso, dove uno zelante agente riesce a rintracciare un criminale fuggito di galera semplicemente seguendo la pista delle paure e degli scheletri negli armadi delle persone con cui entra in contatto. Una volta trovato, lo circuisce con argomentazioni ineccepibili per indurlo a tornare dietro le sbarre: “Oggi non vale più la pena di cercare la libertà; i tempi sono troppo duri. La gente ha troppo bisogno di starsene tranquilla: lavora, è stanca, e il fatto che un tizio sia scappato per bisogno di libertà non può interessare nessuno...”. Qui Hłasko sintetizza alla perfezione un concetto che, a ben vedere, suona attualissimo: la volontà di mantenere intatto il proprio orticello a ogni costo, anche calpestando la propria dignità, nell’ottica di un’idea di libertà sempre più perversa.

Nel racconto Cimiteri si ripercorre l’epopea kafkiana dello sciagurato Francziszek Kowalski, un onesto e probo militante dell’asfissiante partito operaio che finisce nei guai con la giustizia per delle frasi ingiuriose che non ricorda d’aver pronunciato, a seguito di una sbronza. Dalle pagine trasuda quel senso di disorientamento che hanno sempre caratterizzato - e oggi caratterizza, in alcune accezioni pseudo-democratiche - i regimi totalitari: la costante sensazione di poter finire incastrati in qualche meccanismo del sistema.
“Ognuno pensa di essere innocente, in qualche modo. Ma, a un certo punto, tutto viene a dipendere dagli altri, e allora quello che pensiamo noi non conta più niente: la sola cosa che conta è quello che gli altri pensano di noi” è il monito che il signor Kowalski riceve nella guardiola del commissariato, a contatto con farabutti e alcolisti. Tuttavia, l’uomo inizialmente non si ribella al sistema malato ma cerca di trovare un evanescente appiglio per non cadere nell’emarginazione, la paura più grande che cova, appellandosi al suo lontano passato da partigiano.
Ritratto di Marek Hlasko, Zbigniew Kresowaty
Immagine da Wikimedia Commons
In conclusione, Hłasko è stato un magnifico senza speranza, lucidissimo e spietato. Sensazioni urlate attraverso la scrittura, nella quale troviamo descrizioni concise ma straordinariamente calzanti. La sua penna ci trasporta in un mondo infido, intriso di cattivi odori e un senso di pesantezza davvero difficile da scacciar via, anche a libro chiuso. Si capta il profondo disprezzo nei confronti di coloro che lo hanno sempre considerato un reietto, si percepisce un odio verso le autorità, dipinte come corrotte e prive d’ogni forma d’empatia.
Se questa breve panoramica sull’opera ha stuzzicato il vostro interesse, cercate L’ottavo giorno della settimana e immergetevi nella lettura. Potreste sentirvi vicini alle dinamiche polacche degli anni Cinquanta molto più di quanto crediate.

Gabriele Ludovici