Annotazioni su Il Fabbricone di Giovanni Testori

Era il marzo del 1961 quando apparve nelle librerie Il Fabbricone di Giovanni Testori (1923-1993). Lo pubblicava Feltrinelli, nella collana "Biblioteca di Letteratura" diretta da Giorgio Bassani.
Testori fu scrittore di una fecondità degna, come ha scritto lo stesso Bassani, "di secoli più vigorosi del nostro". Una fecondità che ha sollevato lo scherno e l'irritazione di qualche critico "raffinato". Come se l'essere fecondi fosse dannoso per l'ispirazione o la spia di una certa dose di volgarità, e non di una inappagabile "urgenza di dire", come fu quella di Testori.
Giovanni Testori, Il Fabbricone nell'attuale edizione di Feltrinelli

Il Fabbricone segna una tappa importante nel grande affresco popolare narrato dallo scrittore. Innanzitutto perché è un romanzo, il primo dopo i racconti confluiti nella raccolta Il ponte della Ghisolfa (1958). Poi per la prosa, meno densa, colta e lirica di quella dei racconti. Ma non per questo meno corposa.

Un breve saggio, tratto dall'incipit:

“Viene il temporale!” si sentiva gridare per le strade, nell'affanno che tutti avevano di raggiungere al più presto le case. [...] Il vento intanto sollevava dappertutto terra e carte, polvere e immondizie. Anche il Fabbricone, tagliato in due dall'ombra di una nube e da uno degli ultimi raggi di sole, si mise subito in allarme. Persiane che sbattevano. Panni, camicie e mutande che s'agitavano sui fili. Un gran trafficare sui ballatoi e contro le ringhiere. [...] Parole, grida, urli e bestemmie.

Ambientato alla fine degli anni Cinquanta, in un palazzo popolare della periferia milanese, Il Fabbricone è un romanzo di storie plurali alle quali fa da perno la passione che divampa fra Rina Oliva e Carlo Villa. Gli Oliva e i Villa sono schierati su sponde politiche opposte: i Villa atei e comunisti (il padre legge ogni sera "Rinascita"), gli Oliva ferventi cattolici e convinti democristiani.
Sono Rina e Carlo, umili Giulietta e Romeo di sobborgo, a dominare sul palcoscenico della trama. E a promettersi, "per distruggere pian piano ogni tristezza" e combattere "contro tutte le difficoltà", di rispettare sempre "le idee dell'una e dell'altro". Questo, e la responsabilità che ne consegue, è il sicuro viatico per "essere felici", soprattutto in una vita che si prospetta di fatiche e sacrifici.
Il Fabbricone non s'incardina su tematiche mistiche e moraleggianti, quelle cui si volgerà di frequente Testori in seguito, nelle poesie, nei drammi e nelle azioni teatrali.
Tuttavia la lettura ci lascia un messaggio, che forse va oltre le intenzioni dello scrittore. Lo stesso messaggio che Testori esprimerà mirabilmente più avanti: il popolo è "la classe sociale con la maggior vitalità, tanto da essere in grado di ritrovare da solo i grandi temi tragici".
Senza troppi sofismi sulla categoria "popolo", al lettore potrebbe venire in mente Pier Paolo Pasolini. E se il lettore giudica Pasolini un "grande", non di meno probabilmente penserà di Giovanni Testori, leggendolo o rileggendolo.

Marco Quarin