Microrecensione del romanzo La notte in cui suonò Sven Väth, Lucio Aimasso

La notte in cui suonò Sven Väth di Lucio Aimasso (CasaSirio Editore, 2017) è un romanzo di formazione drammatico, crudo e tremendamente avvincente che rientra nel novero della cosiddetta letteratura borderline.
La notte in cui suonò Sven Vath, L. Aimasso - immagine: CasaSirio.com
Il Moro, Sven Vath e lo spaccato di un'Italia sommersa
Il percorso di formazione del Moro – il sedicenne protagonista del romanzo – è irto di vuoti e ostacoli: la solitudine dovuta a una famiglia allo sbando lo porta a stringersi attorno un gruppo d’amici con cui passa le serate tra musica techno (Sven Vath è un Dj, per chi non lo sapesse), alcol e droghe sintetiche. La sua vita sentimentale non conosce le tipiche romanticherie degli amori idealizzati adolescenziali: il Moro frequenta “il giro sbagliato”, e nella sua confusa ricerca di una partner incontra solo sesso e frustrazione. Non mancano risse e tragedie di varia entità: dal racconto emerge infatti un sottosuolo di degrado tutto italiano, tra nazisti ed extracomunitari disperati.

Perché dovete assolutamente leggere La notte in cui suonò Sven Vath
Il romanzo di Aimasso ha un ritmo micidiale, incede senza tregua in un labirinto di eventi sempre più fitti e drammatici che, sferzata dopo sferzata, scolpiscono la personalità del protagonista. La maturazione del Moro fiorisce sull'asprezza e la violenza: una ginestra non proprio “contenta dei deserti” come quella leopardiana, ma che nell'aridità impara a sopravvivere.
La notte in cui suonò Sven Vath mi ha ricordato, tra gli altri, i romanzi di Irvine Welsh – uno degli scrittori più popolari della narrativa borderline – e Hool di Philipp Winkler, ottimo romanzo sugli hooligan dell’Hannover 1986 uscito lo scorso anno per 66thand2nd Editore (recensito qui).

La notte in cui suonò Sven Väth di Lucio Aimasso meriterebbe di spopolare. E non ditemi che non vi avevo avvertito.

Paolo Ceccarini