Appunti su L'Altro, il romanzo d'esordio di Daniele Fulvi

L'Altro di Daniele Fulvi (Scatole Parlanti, 2020) è un romanzo di formazione dalla forte impronta psicologica.

Immagine da Scatole Parlanti

L'Altro: trama
Nel muovere i primi passi nel mondo, Damocle rimane affascinato dal grande specchio nell'ingresso di casa sua: un oggetto insolito che, invece di mostrarsi, mostra. È in quel riflesso che egli scopre un Altro da sé, una figura che si muove al suo stesso modo, in apparenza identica a lui se non fosse per il fascino misterioso che emana. Quello nello specchio non somiglia all'ingenuo Damocle alla scoperta di se stesso, ma appare piuttosto come una presenza oscura e inafferrabile, dallo sguardo sinistro e sprezzante.

La storia ripercorre l'esistenza di Damocle, bambino incompreso poi uomo divorato dall'insicurezza e dal continuo confronto con l'Altro, proiezione della sua mente fragile ma la cui presenza diventa ben presto distruttiva: l'Altro è un bambino coraggioso, un figlio migliore, un amante senz'altro più desiderabile. Per evitare esperienze dolorose e il timore di sentirsi escluso, Damocle arriva a condurre una vita ritirata e priva di stimoli, trovando lavoro al cimitero comunale e intrecciando a fatica relazioni instabili (con Teofilo, con Dalia) che finiscono per crollare davanti all'impossibilità di sostenerle.
L'ombra dell'Altro si allunga su di lui, prendendosi affetti e aspirazioni: non è più solo il prodotto della sua paura, ma una realtà tangibile che, pezzo dopo pezzo, annienta il suo mondo.

“Soltanto un uomo felicemente solitario può custodire la Morte.”


Dentro la mente 
La profondità psicologica conferita ai personaggi costituisce il vero punto di forza del romanzo: dal ricatto emotivo di una madre soffocante all'anaffettività di un padre tiranno, l'autore mette in scena un ventaglio di comportamenti disfunzionali che nascono, spesso, in seno al nucleo famigliare e si cristallizzano nel corso della vita.
Damocle, in primo luogo, sviluppa una serie di tratti di personalità “disturbati” dovuti a un vissuto di incomprensione e difficoltà sperimentato durante l'infanzia. I suoi genitori, Madre e Padre mai identificati con un nome proprio, contribuiscono a forgiare la sua insicurezza.
La Madre assimila se stessa all'esperienza della maternità, imbrigliando il figlio in una dipendenza che lei reputa legittima. La sollecitazione del senso di colpa e la strategia del ricatto emotivo la rendono una figura soffocante, dalla quale Damocle scappa pur perpetuando in maniera complessa il rapporto di amore/odio.
Il Padre, dispotico e irascibile, impone al figlio le proprie aspettative che egli pretende non siano disattese. La sua inclinazione fortemente normativa contribuisce alla crescita di Damocle in un ambiente invalidante, in cui l'espressione delle proprie emozioni e dei propri vissuti non viene riconosciuta e, anzi, spesso banalizzata con reazioni svalutanti.
Ne deriva un Damocle demotivato e insicuro, il cui costante bisogno di ammirazione e le cui idee di grandiosità si innestano sulla parte di sé che lo rende più vulnerabile: l'Altro. Se da un lato egli è portatore di un senso d’inferiorità che lo inibisce, al versante opposto – quello dell'Altro, appunto – l'atteggiamento dominante è l'arroganza, che diventa mancanza di empatia e narcisismo.
Teofilo, l'amico d'infanzia, è un ragazzo mansueto e senza alcun interesse mondano. Egli rappresenta il perfetto contraltare dell'Altro: incapace di mentire e di celare i suoi pensieri, empatico e disponibile all'aiuto.
Dalia, propositiva e vitale, è per Damocle una luce abbagliante in grado di competere con le tenebre dell'Altro.

“Chiuse la porta e vi si appoggiò con la schiena, guardando il soffitto: in quel momento, quella era la sola fragile barriera che lo separava dalla vergogna”.


Tra mito e letteratura 
Riferimenti simbolici costellano la narrazione: il sacrificio di Cristo, il mito, la letteratura dantesca.
Su tutte, emerge la simbologia legata alla leggenda di Narciso ed Eco: Narciso, autoreferenziale e innamorato solo della propria immagine, ed Eco, incapace di aver cura di se stessa. Le due figure rappresentano le facce di una stessa medaglia che si concretizzano nella figura di Damocle, diviso tra due identità opposte e complementari. Eppure qui è il Narciso, dunque l'Altro, a prendere il sopravvento, impedendo a Damocle di manifestare se stesso.
Altra simbologia manifesta è quella legata alla leggenda del principe Damocle, grande adulatore che non perdeva occasione per ricordare a Dionigi I quanto fosse fortunato a godere di tanta autorità. Il mito narra che il tiranno invitò il principe a prendere il suo posto per un giorno, facendolo accomodare alla tavola del banchetto. Al termine della sfarzosa cena, Damocle si accorse che sopra il suo capo pendeva una spada sorretta solo da un crine di cavallo e che avrebbe potuto cadergli addosso in qualsiasi momento, a testimonianza di quanto sia precaria e insicura la condizione di un uomo potente. Nel romanzo di Fulvi, la spada è rappresentata dalla perpetua tensione da cui il protagonista è soggiogato: il desiderio di essere come l'Altro, prima, e la paura di perdere tutto, poi.


Per colpa loro
Con uno stile semplice e un lessico genuino, L'Altro affronta una tematica complessa come quella dell'autostima, la cui costruzione avviene innanzitutto all'interno delle mura domestiche.
L'Altro è, dunque, un romanzo sul figlio e sulla rabbia verso una famiglia sorda ai suoi bisogni: in continua lotta con il sé ideale, Damocle è il prodotto di genitori distratti ed egosintonici, incapaci loro malgrado di amare incondizionatamente.

“Non aveva famiglia, né amici né una donna: era una monade isolata e felice, che però si vergognava della sua felicità.”


Eleonora Marchetti