Possiamo salvare il mondo, prima di cena: il Diluvio e l'Arca di Jonathan Safran Foer

Spegnere la luce, differenziare i rifiuti, chiudere il rubinetto: sono azioni che svolgiamo per le sorti del Pianeta o per lavarci la coscienza, per essere responsabili o per scagionarci?
La verità, tremenda, è che non ci interessa se la Terra sta morendo, non tanto da crederci.
In Possiamo salvare il mondo, prima di cena. Perché il clima siamo noi (Guanda, 2019) Jonathan Safran Foer tratta una tematica ostica e imprescindibile per il nostro futuro: la pericolosità del cambiamento climatico per il Pianeta e l'urgenza di fare qualcosa non solo laggiù, in luoghi lontani, ma qui e ora.

Immagine da www.ibs.it


La crisi della capacità di credere
Prima di lanciare il messaggio chiave di tutto il libro (in che modo possiamo salvare il mondo, prima di cena), Foer ci conduce più a fondo in questa crisi (krisis, decisione) di cui tutti parlano e per cui molti scendono in piazza a manifestare, spesso senza saperne davvero qualcosa.
Attraverso aneddoti storici, situazioni personali, episodi biblici e dati scientifici, l'autore avvicina a noi – rendendocela manifesta – una tematica complessa come l'emergenza climatica, insegnandoci a comprenderla un passo alla volta e a scovare pensieri e gesti quotidiani che noi tutti mettiamo in atto di fronte a un pericolo descritto come imminente ma a cui nessuno riesce a credere davvero.

[…] mi trovo dentro una casa di cui so che consuma una quantità di energia molto maggiore di quella che mi spetterebbe, una casa che so che rappresenta quello stile di vita vorace che so che sta distruggendo il pianeta. E riesco a immaginare uno dei miei discendenti che fantastica di stringere tra le mani la mia faccia e mi urla: «Devi fare qualcosa!» Ma non riesco a crederci al punto da indurmi a fare qualcosa. Per cui in realtà non so niente. 

È evidente che i fatti non riescono a mobilitarci. Eppure si tratta della nostra casa. Ma come potremmo, d'altronde, fare qualcosa, persi come siamo tra cause confuse, effetti e previsioni che cambiano continuamente, invischiati nella retorica e senza la minima idea di quali possano essere i mezzi per combattere? Come potremmo, effettivamente, credere?
E ancora: la tendenza dei giornali e della TV a conferire risalto solo a eventi di maggiore impatto mediatico rischia di circoscrivere l'emergenza climatica agli orsi polari, ai koala e a regioni del mondo lontane, dando la sensazione che tutto questo non ci riguardi davvero. Come possiamo, dunque, crederci? Come potremmo fare qualcosa?

Tutti e nessuno
Le manifestazioni per il clima, Greta Thunberg, il Fridays for Future: di fronte a una simile mobilitazione, sobillata soprattutto dai giovani, è facile sentire una connessione, identificarsi, partecipare.
Fomentate da questa ola di insurrezione giusta, le persone non vedono l'ora di unirsi all'azione collettiva; e spesso è la partecipazione individuale che consente a simili movimenti di crescere. Eppure, sostiene Foer, è vero anche il contrario: quando serve un cambiamento radicale, come in questo caso, quello che ci si dice è che è impossibile produrlo tramite l'azione dei singoli. E questo è reale; ma è altrettanto reale che "l'impotenza dell'azione individuale è la ragione per cui tutti devono provarci", la risultante delle singole forze genera un effetto considerevole.
Se nessuno prova, tutti falliscono. Ma non esiste vittoria senza nessuno che inizi a tentare.
E allora chi può cambiare la situazione? "Tutti. Nessuno".

Foer svela la verità 
Dopo averci distratti per un po' spostando il focus del discorso sulla nostra ignoranza e, dunque, sulla nostra indolenza, Foer giunge finalmente al cuore del problema: la Terra sta morendo, e la colpa non è della plastica, delle foreste che bruciano, delle automobili e degli aerei; o meglio, non solo. Piantare alberi, riciclare rifiuti, installare pannelli solari, fare attenzione alla tipologia di imballaggi, mangiare cibo biologico sono senz'altro azioni lodevoli e molto utili per combattere a livello personale il cambiamento climatico; ma si tratta solo di gesti “sentimentali” che, purtroppo, hanno un impatto risibile sulla possibilità di produrre un cambiamento significativo.
Il vero, enorme problema di cui nessuno sembra voler parlare, il nemico che dovremmo combattere, confessa Foer, è un altro: l'allevamento intensivo. Le maggiori emissioni di metano e protossido di azoto, gas responsabili del famoso “effetto serra”, quelli che è più urgente tagliare, provengono da qui. Il bestiame, bovino soprattutto, rilascia metano attraverso i microorganismi coinvolti nella digestione e protossido di azoto attraverso la decomposizione del letame.
Il dottor Caro dell'Università di Siena ha detto: "L'anidride carbonica rilasciata dall'uso di combustibili fossili e dalla deforestazione rappresenta la porzione più ampia dei gas serra che hanno effetto sul cambiamento climatico; tuttavia, metano e protossido di azoto, le sostanze prodotte dal bestiame, rappresentano circa il 28% del contributo al riscaldamento globale".
La portata del problema sembra da non sottovalutare. Ma intoccabile è l'argomento carne per quasi tutti noi.

Quando si parla di carne, latticini e uova la gente si mette sulla difensiva. Si infastidisce. A parte i vegani, nessuno muore dalla voglia di affrontare l'argomento, e il fatto che i vegani ne abbiano voglia costituisce un ulteriore disincentivo. Ma non abbiamo nessuna speranza di contestare i cambiamenti climatici se non possiamo parlare seriamente delle cause che li provocano, oltre che delle nostre potenzialità, e dei nostri limiti, nel compiere i necessari cambiamenti. 

Ed è qui che Foer espone la propria tesi: per poter anche solo arginare il problema, dovremmo riuscire a non mangiare prodotti di origine animale per almeno due dei pasti principali, non mangiare prodotti di origine animale almeno fino a cena.
Ma siamo veramente in grado di rivoluzionare la nostra alimentazione, siamo in grado di rinunciare a cibi che ci soddisfano appieno e che sono ormai diventati parte del nostro modo di essere, della nostra vita? Scardinare un'abitudine tanto radicata è davvero difficile.
Tutti i grandi cambiamenti, però, comportano una rinuncia e, d'altronde, non sarebbe questa una rinuncia completa; rivedendo una parte del nostro modo di mangiare possiamo sperare di provvedere alla nostra salvezza e a quella dei nostri figli: una rinuncia, dunque, non un sacrificio.
Eppure, la speranza di riuscirci si riduce drasticamente di fronte a simili dati scientifici: in un solo anno abbiamo perso un'area enorme di foresta amazzonica, un ecosistema che impiega quattromila anni a rigenerarsi; gli incendi in Australia hanno devastato oltre otto milioni di ettari di verde; in futuro saremo sempre più costretti a utilizzare l'aria condizionata; gli oceani si stanno scaldando con un ritmo il 40% più veloce del previsto; la cooperazione tra nazioni è inesistente; i Paesi che risentono maggiormente degli effetti del cambiamento climatico sono gli stessi che non hanno le risorse sufficienti per smuovere le coscienze.

Compiere la scelta
Con una scrittura ineccepibile e un pathos trascinante, Jonathan Safran Foer utilizza la sua padronanza della tematica – si pensi a Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? (Guanda, 2010) – per intrattenerci e, al contempo, istruirci sulla più grande crisi che l'uomo si sia mai trovato ad affrontare.
Senza mai cadere nella retorica e nel moralismo, Foer accompagna il lettore attraverso un dialogo intimo con la propria coscienza, fino a lasciare a lui, a noi, la scelta: rinunciare ad alcune abitudini oppure rinunciare al Pianeta.

Nessuno se non noi distruggerà la Terra e nessuno se non noi la salverà. Le condizioni più disperate possono innescare le azioni più cariche di speranza. Abbiamo trovato il modo di riportare la vita sulla Terra dopo un collasso totale, perché abbiamo trovato il modo di provocare un totale collasso della vita sulla Terra. Noi siamo il Diluvio e noi siamo l'Arca.


Eleonora Marchetti